Wave, wave, wave…
Nonostante l’anno che si sta per concludere sia stato uno dei più interessanti degli ultimi anni per quanto riguarda la nascita di nuovi autori, con degli esordi destinati a lasciare il segno nella nostra cinematografia, il cinema italiano è ancora molto lontano dal poter dire di aver visto nascere una vera e propria “wave”.
È vero, ci sono finalmente degli autori in grado di proporre i loro film a livello europeo e mondiale e questa è una notizia grandiosa. Non a caso, vengono tutti – o quasi – da esperimenti di cortometraggio molto interessanti che già avevano avuto la loro notorietà. Purtroppo però questa generazione italiana non è definibile una wave e questo dovrebbe far riflettere molto i registi, i produttori, ma soprattutto i critici e giornalisti.
Una wave ha bisogno infatti di una comunanza di grammatica, stili, ideologia, politica, approccio alla produzione dei film che al cinema italiano manca completamente. Tutti i registi che hanno fatto esordi notevoli sono dei veri cani sciolti e non fanno un cinema che può essere iscritto nello stesso cerchio. Se pensiamo all’esempio dell’ultima grande wave europea, la Greek Weird Wave, ci accorgiamo subito della differenza sia in termini stilistici che culturali di un fenomeno del genere, che rifletteva un certo panorama economico-sociale greco e che ha finito per influenzare una generazione intera di filmmaker.
Nel nostro cinema, purtroppo, una vera wave manca. Una wave in cui non ci siano soltanto punte di diamante, ma anche studenti, esordienti, gregari, addetti ai lavori, giornalisti e critici. Una wave che insomma sia un movimento culturale e non una singola, isolata operazione, per quanto massiva e per quanto di successo. Qui da noi manca ancora la forza per creare dei movimenti che abbiano una orizzontalità tale da coinvolgere davvero il senso del cinema.
Tutto ciò andrebbe incentivato, senza far finta di averlo già.